THE MUSICWAY MAGAZINE / INTERVISTA A
LUCA LONGOBARDI
Abbreviazioni: The Musicway (TMW) Luca Longobardi (LL)
TMW: Benvenuto e grazie per questa intervista.
TMW: 1) C’è stato qualche episodio particolare della tua vita che ti fatto sentire l’esigenza di comporre? Quale è stato quindi il tuo percorso formativo e cosa ti ha formato maggiormente?
LL:<<Lo studio della composizione è arrivato in modo parallelo a quello del pianoforte. È stata un’esigenza dettata dal mio essere interprete classico. La composizione mi ha aiutato infatti a comprendere meglio il testo musicale, le intenzioni del compositore, mi ha dato un approccio più consistente alla prassi esecutiva e mi ha permesso di avere una visione d’insieme più profonda e complessa dell’interpretazione. L’esperienza vissuta come pianista accompagnatore alla danza al Teatro San Carlo di Napoli poi mi ha permesso di entrare in contatto con la realtà della danza contemporanea. Nelle produzioni che ho seguito, la scelta della musica, spesso commissionata, mi ha rivelato uno spettro molto più ampio di generi, di commisture, un altro modo di intendere il linguaggio musicale con una libertà compositiva fuori dai canoni della musica ‘seria’ (classica contemporanea). Il lavoro di ricerca fatto durante gli anni del mio dottorato in Restauro digitale dell’Audio mi ha avvicinato, in un modo del tutto inaspettato, al Glitch, al Noise e alla musica elettronica sperimentale. Tutto il materiale estratto infatti durante la ‘pulizia’ dei documenti sonori che ho preso in esame per la mia tesi sperimentale, è diventato poco alla volta parte centrale del mio linguaggio espressivo. Tutto questo mi ha portato oggi ad avere una produzione molto varia: per quanto il genere a cui mi sento più vicino è il Modern Classical, spazio molto nell’approccio compositivo in relazione alla commissione e alla finalità ultima dell’opera.>>
TMW: 2) Puoi raccontarci qualcosa del tuo ultimo lavoro discografico?
LL:<<Pubblico molto, proprio perché lavoro contemporaneamente a più progetti e a volte molto diversi tra loro. In ordine cronologico, l’ultima release è un singolo intitolato NOVA. È un brano registrato live durante uno dei miei House Concert ed è un flusso continuo e articolato di leggeri cambiamenti timbrici. Uso sempre di più sintetizzatori e pedali nelle mie produzioni e mi piace molto improvvisare durante i live per darmi sempre la possibilità di cogliere le sensazioni del momento e fermarle in un brano. NOVA è un esempio molto chiaro di questo.>>
TMW: 3) Quanto tempo c’è voluto per preparare l’album?
LL:<<“NOVA è un ‘buona la prima’. Non amo molto editare o perdermi nel comping e specialmente in un brano improvvisato dove contemporaneamente mi occupo di gestire synth, pianoforte ed effetti come se fosse un piccolo ensemble da camera, mi piace lasciare quelle piccole incertezze tipiche del ‘ricercare’, del seguire con le dita una strada inesplorata e costruire un’idea del tutto nuova. Per il mixing e il master in studio ci sono volute due sessioni.>>
TMW: 4) Ci sono tra i tuoi lavori alcuni che ti rappresentano maggiormente?
LL:<<Plume senza dubbio. È un album molto personale, nato da un evento doloroso, è un album dove penso di aver definito la mia timbrica e aver creato un linguaggio distintivo, è l’album nel quale ho riversato infinite sensazioni e che ha rappresentato un percorso di catarsi molto intenso. È il primo album in cui uso il pianoforte verticale nudo e con il feltro, in cui l’elettronica non è più di contorno ma diventa parte viva della scrittura. In ogni brano c’è un’evoluzione, una trasformazione, a volte più evidente come nel caso di Bloom, 3.32.39, Paralleli, a volte più sottile, come in Eleven Lives, Lullaby #19 e Quel che resta nella notte. Questo concetto è chiaro anche nella copertina del vinile, disegnata da Anna Forlati e curata da Alessandro D’Angeli. La balena infatti, stampata bianco su nero sulla copertina, diventa un palloncino leggero grazie al tratto di matita che disegno a mano su ogni copia, così da renderla unica. Questo sottolinea ancora una volta il percorso per me necessario a quel tempo, di rendere leggero ciò che di suo era pesante. Plume è indubbiamente l’opera che rappresenta di più il mio modo di intendere la musica come arte simbiotica e collettiva.>>
TMW: 5) Quanto c’è di personale nelle tue composizioni?
LL:<<Molto. Scrivo giornalmente, sono molto aperto agli input esterni e ho trovato il mio modo di ‘tradurre’ il quotidiano in altro. Questo fa si che ci sia sempre qualcosa di vero e di vissuto alla base dell’ispirazione, una testimonianza reale dalla quale parto per raccontare il mio punto di vista, un piccolo cenno autobiografico da cui si dirama poi un racconto autonomo.>>
TMW: 6) Sei un artista che scrive molti pezzi oppure fanno fatica a nascere?
LL:<<Penso che la composizione sia un’attitudine che debba essere nutrita spesso per superare i limiti della semplice tecnica. Registro qualcosa quasi ogni giorno e più che un esercizio è un’esigenza ormai. Non tutto quello che registro o scrivo poi diventa un brano finito o una release ma di certo farà parte del percorso di maturazione di un’idea che ad un certo punto prenderà la sua forma.>>
TMW: 7) Ci sono degli autori che hanno avuto o che hanno influenza sul tuo modo di scrivere?
LL:<<Beethoven in primis. Nel mio percorso di studio a New York ho seguito un corso monografico di un semestre e ho avuto modo di analizzare quasi l’opera omnia oltre a leggere circa cinque diverse biografie (quella di Solomon in primis). I suoi concetti di scrittura musicale, di ‘pensiero per parametri’, di coesione e divisione timbrica sono stati una vera e propria epifania e hanno fortemente influenzato nel tempo il mio approccio alla composizione. Se guardo invece alla realtà contemporanea, posso nominare Arvo Part, per il suo minimalismo e la sua purezza espressiva, Murcof, perché riesce a far suonare il silenzio, Nils Frahm, perché ha dato dignità all’uso del pianoforte verticale con sordina grazie alla sua popolarità e Max Richter, di cui apprezzo particolarmente il recomposed delle Quattro Stagioni di Vivaldi e l’album Sleep.>>
TMW: 8) Oggigiorno forse più di ieri c’è una contaminazione tra generi. La musica, secondo te, si è aperta al mondo?
LL:<<Non è la musica ad averlo fatto ma il pubblico. La produzione musicale è sempre stata molto varia, oggi grazie agli algoritmi delle piattaforme di streaming, c’è più possibilità di scoprirla. Certo, c’è ancora l’egemonia delle Major ma d’altronde penso sia normale se consideriamo (e tutti in Italia dovremmo iniziare a farlo) il lavoro del musicista alla pari di un altro lavoro. Dove c’è guadagno c’è strategia ed è chiaro che chi ha il potere di veicolare gli ascolti in radio, in tv e al cinema può ed è chiamato a farlo anche on line. Io di mio preferisco più realtà di nicchia: non cerco l’affiliazione con etichette grandi, apprezzo quelle la quale cura del repertorio e della produzione artistica è evidente e non viene condizionata dai grandi numeri e dalle svendite popolari, preferisco piattaforme come Bandcamp e Soundcloud a Spotify & Co. e credo fortemente nei social, se usati personalmente, come supporto per gli artisti indie che per scelta non hanno scelto di avvalersi di uffici stampa o A/R agency del settore che troppo spesso vedono nei nuovi artisti solo un modo per arrotondare gli introiti offrendo pacchetti standard e impersonali.>>
TMW: 9) Come vedi l’utilizzo della tecnologia nella musica di oggi?
LL:<<La tecnologia offre infinite nuove possibilità, apprezzo molto la sperimentazione dei nuovi mezzi e abbraccio ancor di più la commistura dell’analogico e del digitale. Lavoro con sistemi di fruizione nuovi (un esempio è AMIEX, protocollo audio – video immersivo usato a Carrières de Lumières e all’Atelier des Lumières di Parigi negli spettacoli main-title per i quali scrivo e curo la regia musicale) e continuo a cercare nuove vie espressive, come nel caso della neo-nata collaborazione con il collettivo Spectre (Stefano Moscardini & Enrico Viola) con il quale stiamo lavorando ad una performance A/V veicolata nella parte video da un’intelligenza artificiale. Ogni mezzo espressivo, vecchio o nuovo che sia, rappresenta per me la possibilità di un vocabolario altro con il quale indagare la creatività.>>
TMW: 10) Spesso gli artisti vivono immersi nelle emozioni del presente. Il futuro ti spaventa? Che progetti hai in proposito?.
LL:<<Mi piace pensare quando si parla di nuovi talenti che non si intenda solo giovani talenti. La musica, come del resto l’arte in genere, non dovrebbe essere condizionata dall’età dell’artista ma dalla qualità atemporale dell’idea. In ogni caso non mi chiedo cosa farò da grande perché grande mi ci sento già. E per la mia esperienza, posso dire che quello che vivo è un ambiente complesso e con una logica tutt’altro che lineare. Lavoro molto come musicista e nonostante questo, ho bisogno di un secondo lavoro per assicurarmi una certezza economica. Questa è una situazione tutta italiana, Paese nel quale la Siae paga, e spesso non lo fa, i propri associati due volte l’anno senza dar loro la possibilità di sapere in anticipo quanto sarà il dovuto e dove il budget per un concerto è assorbito al 60% da oneri burocratici (Siae, agibilità ex Enpals, etc.). Il futuro non mi spaventa, ho imparato a convivere con l’incertezza di un mestiere che da tanti non viene nemmeno considerato tale. E mi piacerebbe dire ad alta voce un’altra cosa: per fare Arte non basta il cuore, ma sono necessarie altri mille talenti. Chi lo sostiene è uno sprovveduto che calpesta con troppa leggerezza l’impegno di chi per la musica ha sacrificato e sacrifica più di una cosa.>>
TMW: Ti ringraziamo per il tempo che ci hai dedicato!

Foto di Stefano D’Offizi e Serena De Angelis – White Noise
Ascolta la musica di Luca Longobardi: