Benvenuto e grazie per questa intervista.
- C’è stato qualche episodio particolare che ti fatto sentire l’esigenza di comporre? Quale è stato quindi il tuo percorso formativo e cosa ti ha formato maggiormente?
Ricordo che da piccolo mi divertivo ad ascoltare i suoni del mondo e a usarli come stimolo per creare melodie e ritmi nella mia mente. Col crescere ho capito che si trattava di un dono che mi avrebbe portato, un giorno, a diventare un compositore. Intorno ai 15 anni mi sono approcciato alla chitarra, che per un po’ è stata il mio principale strumento fino a quando, verso i 17 anni ho incontrato il pianoforte, e li è stato colpo di fulmine.
Nei seguenti dieci anni mi sono dedicato a studi pianistici, di composizione e orchestrazione saltando da accademie di musica a lezioni private; tutto questo mentre mi laureavo in ingegneria informatica e mi approcciavo a fare i primi passi nel mondo del lavoro. In questo periodo di studi ho avuto la fortuna di avere dei grandi compositori come maestri: a Palermo Giovanni D’Aquila, a Bologna Adriano Guarnieri e a Bruxelles Luc Brewaeys che mi hanno aiutato a sviluppare un approccio compositivo sia classico che contemporaneo.
- È da poco uscito il tuo nuovo disco “L’estate del ‘78”, puoi raccontarci qualcosa di questo lavoro?
Come compositore sono alla continua ricerca del perfetto connubio fra il raccontare e il musicare: per me comporre è trascrivere in musica immagini, sentimenti o storie. L’anno scorso ho avuto l’intuizione di lavorare ad un album che fosse narrativo, per l’appunto la colonna sonora per un libro. A quel punto mi mancava solo il libro.
La scelta de “L’estate del 78” non è stata del tutto casuale: sapevo che sarei riuscito a incontrare lo scrittore Roberto Alajmo grazie ad amicizie comuni. La lettura del libro poi mi ha incantato e confermato che si trattava del giusto libro. Nel mese di luglio ho incontrato Roberto e lui mi ha da subito confermato il suo interesse per il progetto: ne è poi nata una collaborazione che si è concretizzata con questo album e con uno spettacolo teatrale che è stato eseguito a Palermo in cui lo stesso Roberto ha letto alcune pagine del libro seguito dall’esecuzioni dei brani.
- Quanto tempo c’è voluto per preparare l’album?
Ci sono voluti otto mesi in tutto. Durante i primi quattro ho steso la struttura dell’album e scritto tutti i dieci brani, nei restanti quattro mi sono dedicato alla scrittura delle partiture, ricerca del pianista, della casa discografica, e produzione. Ho avuto la grande fortuna di avere bravissimi artisti accanto a me in questo progetto, a cominciare dal pianista Dario Carnovale che ha registrato le tracce dell’album con un’interpretazione che reputo davvero toccante.
- Oggi, è difficile riuscire a pubblicare un disco?
Per me questo è il primo disco che pubblico, nel passato mi sono dedicato ad auto produzioni, quindi non saprei dire se è più o meno facile. Posso dire che per me è stato semplice grazie anche alla professionalità della mia casa editrice Blue Spiral Records che mi ha aiutato in tutte le fasi della pubblicazione.
- In precedenza sono usciti altri tuoi lavori, ad esempio “Portraits” o “Un dolce incantesimo”. Ce ne vuoi parlare?
“Un Dolce Incantesimo” è un lavoro composto nel lontano 2003 e fa parte del mio progetto di riportare alla luce tante delle mie composizioni giovanili che reputo piuttosto mature per essere pubblicate. Questo album in particolare fu dedicato ad un mio caro amico che si apprestava a diventare Papà.
“Portraits” invece è un lavoro originale del 2018, che nasce dalla collaborazione con un altro artista, Vincenzo Vitale: un fotografo Palermitano che oggi abita ad Amsterdam e con cui ho condiviso gli anni dell’università a Palermo. L’album è composto da quattro tracce, ognuna delle quali è un racconto in musica della storia che ho immaginato guardando uno dei suoi ritratti: bellissime foto in bianco e nero fatte in giro per il mondo con una macchina analogica che raccontano persone con un forte vissuto alle spalle. Nelle pagine del mio sito è possibile vedere le foto che sono dietro ogni traccia.
- Ci sono tra i tuoi lavori alcuni che ti rappresentano maggiormente?
Tra il 2008 e il 2017 ho temporaneamente messo da parte il “me” compositore dedicandomi a tempo pieno alla carriera da informatico. È solo a partire dal 2017 che ho ricominciato a comporre. Tutto ciò che ho scritto prima del 2017 lo considero parte di un percorso di ricerca del mio stile compositivo. Le mie composizioni degli ultimi due anni le considero invece molto mature, vicine a quello che in quanto compositore voglio essere e se c’è una traccia che mi rappresenta maggiormente questa è sicuramente “L’ultima volta di ogni cosa” dall’album “L’estate del 78”. Poche note ma con un fortissimo impatto emotivo.
- Quanto c’è di personale nelle tue composizioni?
Tanto, ogni mia composizione nasce dal dentro di me quindi porta tanto del mio carattere. Con il tempo ho anche imparato ad astrarre i sentimenti, per evitare di farsi troppo trasportare dalle emozioni compositive, ma sicuramente metto tanto di me in ogni traccia. Direi un continuo lavoro di introspezione e ricerca di me stesso.
- Sei un artista che scrive molti pezzi oppure fanno fatica a nascere?
L’unica mia fatica è quella di trovare il tempo, scrivere non è mai stato un problema. Basta sedersi davanti ad un pianoforte (se è il mio ancora meglio) chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare da un’idea o immagine. In questo mio processo una matita, una gomma e un foglio di carta sono i miei immancabili strumenti.
Con il tempo ho imparato a scrivere musica ottimizzando al massimo l’uso dei miei tempi: posso iniziare una traccia al pianoforte per poi continuare a comporla in background mentre sono sulla metro, registrare idee sul mio cellulare, e scriverle su un pezzo di carta mentre sono al lavoro. È così che è nato l’intero album “L’estate del 78”.
- Ci sono degli autori che hanno avuto o che hanno influenza sul tuo modo di scrivere?
Tra i compositori classici che più di tutti mi hanno influenzato ci sono Chopin, Debussy, Scriabin, Stravinsky, Petrassi, Rachmaninov e Ravel. Tra i contemporanei Ennio Morricone. Durante i miei anni di studio mi sono tanto dedicato alla scrittura emulativa e questo ha lasciato tracce di tutti questi e altri compositori nella mia musica.
- Oggigiorno forse più di ieri c’è una contaminazione tra generi. La musica, secondo te, si è aperta al mondo?
Il famoso tema della globalizzazione ha naturalmente toccato anche la musica. Quello che mi spaventa un po’ però è l’omologazione. Vedo tanti giovani compositori che copiano gli stili moderni senza aggiungere nulla di nuovo; spero che invece la globalizzazione possa servire a fare accrescere gli stili e far si che ne nascano di nuovi. Ma come ben sappiamo i cambiamenti negli stili musicali prendono secoli e sono difficilmente notabili da una generazione.
- Come vedi l’utilizzo della tecnologia nella musica di oggi?
Sin dalla mia giovinezza sono stato un grande sostenitore della tecnologia, forse perché l’altro me è in effetti un ingegnere informatico. Uno dei miei sogni di una decina di anni fa era per esempio riuscire ad avere un computer che mi permettesse di scrivere musica per orchestra, riuscendo poi a fare un buon rendering che fosse il più possibile vicino ad una vera esecuzione. Bene oggi tutto ciò è possibile, e Portraits ne è un esempio.
- Spesso gli artisti vivono immersi nelle emozioni del presente. Il futuro ti spaventa? Che progetti hai in proposito?
No, non mi spaventa anzi ho sempre piani per il futuro, sin da bambino non faccio altro che sognare e far sì che i miei sogni si realizzino. La mia visione a lungo termine è naturalmente quella di inseguire il sogno di diventare un compositore e poter far questo a tempo pieno. I miei prossimi lavori saranno tutti concentrati sulla possibilità di esecuzioni teatrali, e il mio sogno finale è quello di scrivere musiche per film. La naturale conseguenza di uno stile di scrittura puramente narrativo.
Ti ringraziamo per il tempo che ci hai dedicato.
