
I WE ARE WAVES sono una band post-punk italiana. Hanno pubblicato quattro album e una manciata di EP. Il loro mix di melodie romantiche, synth retro e accordi dream-pop mescolati all’energia del post-punk ha permesso loro di guadagnarsi un importante seguito nei circuiti underground europei, portandoli a suonare in Italia, Francia, Germania, Inghilterra, Belgio e Svizzera, suonando insieme a nomi come THE CHAMELEONS, FRONT 242, SHE PAST AWAY, SOVIET SOVIET, AUCAN, THE TOXIC AVENGER e molti altri. CAVE è il loro quarto album in studio, pubblicato da MEATBEAT RECORDS, DIRTY BEACH RECORDS e la canadese VELOURIA RECORDZ. Rappresenta un’evoluzione del loro sound in un mood più cupo e ruvido.

RINGRAZIAMO I WE ARE WAVES PER AVERCI CONCESSO QUEST’INTERVISTA

1) Potete raccontarci un po’ la storia del vostro gruppo?
Siamo nati una decina di anni fa dalle ceneri di un vecchio progetto, abbiamo raccolto alcune idee nuove e ripartiti con quella che pensavamo fosse una breve avventura. Da lì abbiamo pubblicato 4 dischi più vari EP, suonato un po’ ovunque tra Italia, Francia, Belgio, Germania, Svizzera e Inghilterra, conosciuto una marea di gente e alcuni di noi anche trovato l’amore. Una gran strada.
2) A cosa dobbiamo il nome del gruppo?
Ho sempre visto il mare come un organismo vivente, che respira nelle sue onde. E le onde sembrano persone. Alte e maestose, ma pronte a infrangersi rovinosamente contro gli scogli l’attimo dopo, per poi rialzarsi. E rischiantarsi. Questo in continuazione, per sempre. Come molti di noi durante la nostra vita tormentata.
3) Il vostro ultimo singolo “Cave”, estratto dall’album omonimo è uscito il 22 novembre 2023, potete parlarci del singolo, dell’album e di tutti i vostri lavori discografici precedenti?
Si, è stato un disco con una lunga gestazione causa pandemia, nato dalle ceneri di un disco fantasma che doveva uscire nel 2019 ma che poi per vari motivi abbiamo accantonato. È molto diverso rispetto agli altri dischi, che forse sono leggermente più “hi-fi” e con una componente elettronica più marcata. Ogni album dei WAW ha avuto un fil rouge e un suo preciso mood: in “Labile” abbiamo parlato di fragilità, di quel preciso momento in cui tutto va in frantumi, di quanto i momenti buoni siano effimeri. In “Promises” siamo diventati adulti, e la cosa ci ha spaventato a morte. Abbiamo fatto delle promesse a noi stessi e ai nostri cari. Promesse difficili da mantenere, col grande lavoro, per cui non basta una vita, di tenere tutti insieme, di non perdere pezzi per strada. Questo è stato “Hold”. E ora “Cave”, che affronta più marcatamente il tema della salute mentale, del percorso psico-terapeutico, dell’illuminare la caverna della propria anima per vedere anche quelle cose di noi che non ci piacciono o di cui abbiamo paura.
4) Quanto tempo ha richiesto la realizzazione dei dischi?
Sempre circa un paio d’anni dalle prime demo alla produzione finale. Ci piace metterci tempo e cura, come un prodotto d’artigianato.
5) Come inizia il processo creativo? E come sviluppate i vostri brani?
Il tutto nasce spesso da semplici demo chitarra-voce, su cui poi si inizia a lavorare ciascuno col suo apporto creativo. A volte si tiene solo la linea vocale per stravolgere tutto il resto sotto. Ci piace l’idea di tenere una linea vocale molto morbida, di smitshiana memoria, per poi poterci inserire parti strumentali anche molto violente e dissonanti, come abbiamo fatto in brani come “Koriolis” o “Dacryphilia”.
6) La più brutta esperienza che avete fatto sul palco?
Aver dovuto spintonare con forza una ragazza completamente ubriaca che era salita sul palco, si era messa a miagolare al microfono e stava per vomitare sulla pedaliera. Un gesto di cui non andiamo fierissimi, ma la strumentazione è sacra.
7) Di cosa parlano i vostri testi?
Di fragilità e momenti bui. E della sfida quotidiana per superarli e tentare di essere persone migliori.
8) Un gruppo a cui vi sentite molto vicini?
Gli Smiths. Come loro, ma a Collegno. E con più elettronica.
9) Come definite il vostro genere musicale? Perché avete scelto questo genere anziché un altro?
Un generico “post punk” che vuol dire tutto e niente, va più che bene. Ci viene bene suonarlo ed è affine alle nostre personalità. Poi un paio di nostri musicisti suonano in altri progetti, anche molto lontani da questo mondo.
10) Come avete affrontando il precedente stato d’emergenza da virus SARS-CoV-2 e cosa provate per l’attuale abbattimento delle restrizioni?
Molto male. Io a fine pandemia parlavo da solo e soffrivo di attacchi di panico. Tutto questo è finito in “Cave” infatti. Ora sembra un’epoca lontanissima, appartenente già alla storia. Quando finisci a suonare l’ultimo pezzo completamente sudato in mezzo alla gente poi ti ritrovi a pensare “ma ci pensi che 2 anni fa c’era il Covid, si stava chiusi in casa e pensavamo che il mondo sarebbe finito?”.
11) Come vedete il panorama musicale nel futuro post-Covid?
Non ci sono grosse differenze rispetto a prima. Forse solo ancora più difficile chiudere le date, ci sono meno locali e le programmazioni ora sono fatte quasi su base annuale, quindi devi infilarti in uno spiraglio estremamente stretto. A parte questo, c’è molta voglia di musica dal vivo e questo è sicuramente positivo.
12) Progetti per il futuro?
Stiamo iniziando a scrivere pezzi nuovi, e a preparare alcune edizioni o ri-edizioni in vinile dei nostri dischi. E poi altri live, la cosa che più ci piace fare.
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