”Ho sposato la musica. Mi sono dedicata totalmente a questa mia passione. Non sono mai stata femminista e a proposito del dibattito sullo spazio alle donne nel mondo del lavoro ho la mia idea: uomo o donna che sia, le cose si fanno solo quando le sai fare”. Teresa Procaccini, 90 anni il prossimo 23 marzo, è un fiume in piena quando racconta con una memoria di ferro il suo passato fatto di note, spartiti, concerti, più di 250 composizioni tra musica sacra, opere liriche, sinfoniche e da camera, Symphonic Band e fiabe musicali. Pugliese di Cerignola, è stata la prima donna italiana a dirigere, dal 1971 al 1972, un Conservatorio, ma è un primato al quale non dà molta importanza nonostante fossero anni politicamente ”caldi”. ”Fui chiamata a Foggia a prendere il posto del direttore che era stato congedato – dice all’ANSA nella sua casa di Roma dove vive ormai da 50 anni -. Venne considerato un fatto normale, allora non mi sembrava una rivoluzione. Ero una persona seria, indipendente, grande lavoratrice, brillantemente pluri-diplomata, con diverse esecuzioni alla RAI, conosciuta e molto apprezzata per le mie qualità organizzative”. Che anche la composizione fosse un mondo tutto maschile, non avrebbe tardato a scoprirlo. Nata in una famiglia piccolo borghese è cresciuta a pane e musica, la madre aveva studiato pianoforte con un allievo del grande Pietro Mascagni, che per qualche anno aveva diretto la banda di Cerignola. ”A due anni già intonavo le canzoni in voga dell’epoca trasmesse alla radio, poi le arie d’opera e di operetta che mia madre eseguiva al pianoforte”. Teresa si appassionò alla fisarmonica e a 6 anni, imitando la madre, cominciò a maneggiare lo strumento piccolo da 24 bassi. ”Un amico di mio padre, che aveva un negozio di strumenti, mi sentì suonare e gli suggerì di farmi seguire da un maestro. A otto anni cominciai a studiare privatamente pianoforte e violino con i docenti del Liceo Musicale di Foggia e qualche mese dopo anche composizione. Ma erano anni di guerra e durante un bombardamento la sua casa venne distrutta. Anche il pianoforte andò in pezzi. “‘Per fortuna siamo tutti vivi’, disse mio padre”. Il professore di composizione di Foggia non aveva fiducia nel talento compositivo delle donne: ”Le donne poi si sposano – diceva -, devono stare a casa a fare le braciole…”. Tramite uno zio, fece a Napoli un’audizione con il famoso maestro di composizione Achille Longo che restò colpito dalla qualità dei suoi brani. ”Mi disse che ero molto più dotata musicalmente di tutti gli allievi maschi della sua classe e mi suggerì di trasferirmi al Conservatorio di Roma perché la capitale offriva più possibilità ai buoni elementi”. Nel 1956 partecipò a un Concorso di Composizione a Firenze e lo vinse con il Trio per violino, violoncello e pianoforte op. 5. ”Componevo musica fedele alla tradizione e ai valori classici, non mi piaceva la musica delle avanguardie, incomprensibile. Stravinskij, Bartok e Prokofiev, era quella la musica moderna che volevo fare. Da allora ho sempre fatto quello che ho voluto, senza condizionamenti”. Dopo i diplomi conseguiti a Santa Cecilia tornò a Foggia dove ebbe la cattedra di Organo e Composizione, si buttò a capofitto nel lavoro creando una orchestra per bambini. Trasferitasi a Roma nel 1974 fino al 2001 insegnò Composizione al Conservatorio Santa Cecilia. Non aver aderito alla musica contemporanea le ha creato problemi? ”A Bari incontrando Nino Rota gli dissi: ‘Che ne pensa Maestro, devo cambiare stile e uniformarmi al nuovo linguaggio dell’Avanguardia? ‘Sta scherzando?’, mi rispose, ‘lei deve essere se stessa, se ha qualcosa da dire verrà fuori…è sicurissimo!”’. Rapporti con le colleghe? ”Allora non era facile per le donne. La maggioranza non componeva. Ho collaborato molto con Alice Samter di Berlino e con l’americana Nancy van de Vate”. E oggi, come passa le giornate? ”Continuo a lavorare, ho imparato a scrivere musica al computer”. A quale suo brano è più affezionata? ”Al Trio op. 5 che ha aperto le porte per la mia lunga carriera”. Tra i generi preferiti da Teresa Procaccini c’erano l’opera comica (”Volevo essere il Rossini del Novecento”) e le colonne sonore. ”A Roma il grande compositore Enzo Masetti, il Morricone dell’epoca, titolare della prima e all’epoca unica cattedra di musica da film, un giorno mi disse: ‘Voglio dire a suo padre che lei è molto brava e che farà sicuramente strada nella vita’. Io gli risposi: ‘Mio padre lo ha sempre saputo”’.

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