Benvenuto Flavio e grazie per questa intervista.
- C’è stato qualche episodio particolare che ti fatto sentire l’esigenza di comporre? Quale è stato quindi il tuo percorso formativo e cosa ti ha formato maggiormente?
Ascolto musica da quando ero letteralmente in grembo a mia madre. Infatti era solita farmi ascoltare Billie Holiday, Freddie Mercury, Janis Joplin e tanti altri ancora attraverso un enorme stereo Hi-Fi che avevamo nel salone di casa. Sotto questo punto di vista quindi era quasi inevitabile che il mondo dei suoni diventasse una componente fondamentale della mia vita. L’atto compositivo credo sia stato fondamentalmente spinto dalla mia esigenza in tenera età (4-5 anni) di “modificare” ciò che ascoltavo e che non mi piaceva. Cercavo di immaginare nuove strade con la mente, trovando nuove soluzioni rispetto a ciò che ritenevo lontano dal mio giovane gusto. Per quanto riguarda invece il mio percorso formativo, devo dire che non è stato per nulla di stampo “accademico”. Ho cominciato a suonare la chitarra a 10 anni avvicinandomi in maniera totalmente naturale ai generi più disparati. Tuttavia, arrivando a un livello di padronanza dello strumento molto alto, mi resi conto che non era più il cervello a guidare la mano, ma era la mano che “guidava” il cervello. Fenomeno che riscontro in moltissimi musicisti estremamente dotati, che a volte si rivela un vero e proprio baratro autoreferenziale. Per mia grande fortuna però, avevo un pianoforte a casa, che suonava mio padre quand’ero piccolo e l’evento che mi ha portato a invertire direzione in maniera drastica, è stato quando decisi di mettere le mani sui tasti bianchi e neri in maniera totalmente spontanea. Questo mi ha costretto a dover completamente cambiare punto di vista riguardo tutto il bagaglio musicale che avevo accumulato ed è stato proprio questo approccio naturale al pianoforte a spingermi a dover trovare ancora una volta nuove “soluzioni” e a creare composizioni con un linguaggio per me totalmente nuovo ma al contempo estremamente “personale”.
- “7even” è il tuo nuovo disco, puoi raccontarci qualcosa di questo lavoro?
7even è fondamentalmente un sentiero. È il risultato di un mio percorso di crescita personale e musicale attraverso cui ho “indirizzato” determinate energie in un concept compositivo ispirato a suggestioni e atmosfere che derivano dal mio forte interesse per l’Esoterismo, la numerologia, la spiritualità e ciò che è altro da noi e da questa “forma” terrena. Il 7 è uno dei numeri più ricorrenti nella numerologia esoterica, considerato sacro dai pitagorici, in quanto unico numero che non è prodotto di altri numeri e per questo non creato. Il 7 , inoltre, è considerato come globalità universale, unione dei quattro elementi terreni e la triade divina. Le tracce si susseguono secondo l’ordine dei nostri centri energetici o “chakra”, volendo richiamare proprio la funzione che ognuno di questi svolge. La conchiglia, invece, rappresenta l’eterno in divenire, il contrario esatto dell’Uroboro, il serpente che si mangia la coda chiudendosi nella sua ciclicità. Per me rappresenta la continua ricerca e soprattutto il continuo movimento, la continua riflessione alla quale il mio lavoro è dedicato.
- Quanto tempo c’è voluto per preparare l’album?
Credo almeno un anno, ma in definitiva è stata una strada che si è “svelata” pian piano in maniera autonoma e che mi ha accompagnato in un periodo abbastanza particolare della mia vita. Tengo a precisare però che non mi piace pensare ai tempi di “preparazione”, perché credo che in musica i tempi debbano essere fisiologici e paralleli al vissuto di chi crea. Un album o qualsiasi lavoro artistico richiede semplicemente il tempo necessario.
- Oggi, è difficile riuscire a pubblicare un disco?
Nell’era dei social ognuno è fondamentalmente manager di se stesso, quindi in definitiva la difficoltà non sorge nel pubblicare o no un disco, ma nel trovare persone che credano in maniera concreta nella tua “idea” e che siano in grado di tutelarti in maniera “artistica” riuscendo a valorizzarti per le tue capacità e potenzialità. In questo devo dire che sono stato fortunato nel collaborare con la Blue Spiral Records, che è una realtà che sono sicuro crescerà notevolmente nei prossimi anni grazie alla competenza e alla lungimiranza artistica di chi la gestisce. Colgo inoltre occasione per ringraziare di vero cuore il M. Raffaele Grimaldi, la general manager Italia Buccino, per quanto riguarda la direzione artistica, e il presidente responsabile BSR Roberto Grimaldi.
- Ci sono tra i tuoi lavori alcuni che ti rappresentano maggiormente?
Ogni lavoro che ho fatto credo possa essere in definitiva il risultato di un particolare periodo o momento, per cui non credo ci sia qualcosa che mi rappresenti più di un’altra. Sicuramente però credo vi sia qualcosa che rappresenti e soprattutto differenzi maggiormente un particolare periodo rispetto un altro.
- Quanto c’è di personale nelle tue composizioni?
La composizione è un risultato complesso di una serie di scelte effettuate secondo lo spettro di certi parametri decisionali e quindi inevitabilmente personali. Questi “materiali” (melodia, timbro, suono, struttura, ritmo etc.) sono lo scheletro su cui si basa in maniera generale un puzzle di suoni il cui risultato finale è un miscuglio indivisibile di emozioni, sentimenti, situazioni, periodi e come dicevo scelte. In questo senso posso affermare che è proprio per la scelta che una mia composizione può essere/divenire personale, perché è proprio sull’orlo della scelta che il compositore effettua la più difficile delle operazioni : lo svelarsi.
- Sei un artista che scrive molti pezzi oppure fanno fatica a nascere?
Questa è una domanda abbastanza spinosa. La musica è un modo di esprimersi, un linguaggio che tuttavia ha alla base della sua grammatica qualcosa di paradossale : l’astratto. Quando scrivo musica mi misuro in maniera umile con essa e quando finisco un brano ne esco sempre vincitore e perdente allo stesso tempo. Così come in natura ci sono periodi di magra e periodi di fertilità, anche in musica è possibile scrivere 10 minuti di musica sinfonica in una notte e poi rimanere fermi per mesi nonostante lo sforzo titanico del provarci.
- Ci sono degli autori che hanno avuto o che hanno influenza sul tuo modo di scrivere?
Certamente. Credo che la mia musica sia una sorta di crocevia di influenze di autori e generi musicali estremamente lontani l’uno dall’altro. Come già accennavo prima, il fatto di non avere una formazione “accademica”, mi ha portato ad avere una certa apertura nei confronti di ogni espressione musicale di genere. In particolare tra le mie maggiori influenze posso citare i chitarristi Yngwie Malmsteen, Steve Vai, Jason Becker, che sono stati i miei “maestri” nei primi anni in cui mi approcciavo alla chitarra, mostrandomi pregi e insidie del virtuosismo strumentale legato alla sei corde. Dopo un “rigetto” di questi maestri, attraverso gruppi come i Parliament, Funkadelic, Led Zeppelin, Deep Purple, Frank Zappa, Pink Floyd, Metallica, Alice in chains, Pearl Jam e molti altri, mi sono affacciato su generi quali il funky, il rock, il metal, il grunge e il post rock. Superando queste fasi poi mi sono ricongiunto alla musica detta “classica” che in definitiva mi è appartenuta fin da sempre con autori come Bach, Mozart, Beethoven, Haydn, Brahms, Shubert, Shumann, Chopin, Tchaikovsky, Ravel, Debussy, Sibelius, Gershwin, Holst etc. Per avvicinarmi in fine, in maniera naturale ai grandi della musica da film e della musica contemporanea, che forse più di tutti hanno avuto un enorme impatto sulla mia musica. Tra questi posso citare: Zimmer, Williams, Newton Howard, Horner, la dinastia Newman (a partire da Alfred fino a Thomas), Hermann, Silvestri, Desplat, Johansonn, Goldsmith, Morricone, Glass, Reich, Adams, Riley etc.
- Come potresti descrivere il tuo modo di comporre?
Credo che il comporre debba essere un atto fisiologico e solo in seguito intellettuale. In questo senso cerco di sfruttare al massimo quella che definirei la naturalezza dell’atto creativo, senza inficiarlo, per quanto possibile, con gli espedienti del pensiero razionale. In questo modo cerco di fare si che la musica si crei autonomamente, come un continuo divenire di scelte emotive e razionali.
- Cos’è per te la musica per immagini?
La musica per immagini è senza dubbio l’espressione del “non detto”. L’equilibrio tra ciò che vediamo e ciò che sentiamo è necessariamente il trampolino di lancio per qualcosa che ha come scopo la ricerca e l’appagamento dell’esperienza artistica a tutto tondo. La colonna sonora, come un buon amico, dev’essere in grado di suggerire senza imporre, di abbracciare senza stringere e di permeare ciò che l’occhio non vede con la qualità dell’astrazione emotiva. In questa maniera, slegando i confini angusti dell’esperienza visiva, la soundtrack segue l’imperativo categorico di preparare il terreno fertile per la dimensione emotiva, in quello che potremmo definire un vero è proprio mondo che, come scopo, deve avere il titanico compito di unire in sintesi la Verità e l’astratto, creando quella che definiamo Arte.
- Oggigiorno forse più di ieri c’è una contaminazione tra generi. La musica, secondo te, si è aperta al mondo?
La musica è per sua natura aperta ed è l’unica costante che la caratterizza in maniera inequivocabile. La commistione di generi e lo scambio di influenze tra branche diverse della musica, è una prerogativa che crea un apporto evolutivo al sistema musicale in termini di scienza dei suoni che, diversamente, creerebbe la stasi totale, il ristagnamento e quindi la fine del concetto di sistema aperto. Credo che in fondo sia il mondo che dovrebbe essere più aperto, in qualsiasi ambito e scienza. Il tratteggiare un confine rappresenta sempre una sconfitta.
- Come vedi l’utilizzo della tecnologia nella musica di oggi?
L’utilizzo della tecnologia ha creato una svolta epocale nel campo musicale e credo che chi la rigetta prima o poi dovrà fare i conti con la realtà. Credo però che come qualsiasi “tool”, ossia strumento, debba essere sempre utilizzato con intelligenza.
- Spesso gli artisti vivono immersi nelle emozioni del presente. Il futuro ti spaventa? Che progetti hai in proposito?
Il futuro è solo una forma ancora non definita di presente. Personalmente cerco di fare bene oggi quello che vorrei fosse fatto meglio domani, in modo da trovarmi avanti col lavoro. Bisogna che ognuno di noi pianti i semi che l’universo gli ha messo in tasca avendo rispetto, in maniera seria e spensierata, di ciò che siamo e di quello che stiamo creando in questo veloce passaggio, ma soprattutto, ascoltando ciò che la terra ha da dirci con un’antenna rivolta alle stelle e un’altra rivolta al cuore.
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Flavio G. Cuccurullo nasce ad Avellino il 19/12/1992. Successivamente trasferitosi nella famosa città Bruniana, Nola, intraprende all’età di 11 anni i primi passi verso la musica. Comincia con lezioni di chitarra elettrica, strumento principe che lo porterà a partecipare e vincere svariati contest nell’area Partenopea. Nel 2007 decide di prendere lezioni di pianoforte con Nona Dajan. Nel 2010 superando le ammissioni di “Chitarra jazz” e “Composizione M.A.I. (musica appplicata alle immagini)” presso il conservatorio statale G.Martucci di Salerno ,decide di intraprendere gli studi di composizione per la musica applicata alle immagini. Ad oggi ha firmato lavori in categorie quali : Spot, cortometraggi, Installazioni, Live Electronics, arrangiamenti Pop, Rock,Classica e Sinfonica. Nel 2015 partecipa al festival del cinema di Berlino assieme al regista Raffaele Troianiello con il cortometraggio “Number 23724” tratto dal celebre monologo di Ascanio Celestini “Io cammino in fila indiana”. Vince nel corso del festival internazionale di Cinema “Cinemadamare”, diretto dal giornalista La7 Franco Rina, il premio “Best Sound” come miglior compositore per le musiche di “Mom” di Aco Tenriyangelli. Vince, a seguito del workshop di musica da film tenuto dal maestro Adriano Aponte presso il “Social World film festival” di Vico Equense, una borsa di studio in “Film scoring” presso l’Accademia delle arti e dello Spettacolo di Napoli studiando con il maestro Bruno Campanino. Sempre nel 2017 scrive, arrangia e dirige le musiche per “Fluxus”, spettacolo teatrale del drammaturgo Clemente Napolitano con la partecipazione straordinario dell’“Orion Vocal Ensamble”. Nel settembre 2017 vince il quarto posto nella “Film scoring competition” indetta dal CAIFF (California Independent Film Festival) per le musiche scritte per il cortometraggio “Mono” di Al Benoit. Contemporaneamente all’attività di compositore di musica da film ha realizzato opere di musica assoluta.
Link utili per ascoltare il disco “7even”:
Spotify: https://open.spotify.com/album/61US3DQfDgcCF5INTPnBoI
iTunes: https://itunes.apple.com/it/album/7even/1356504779
Teaser Youtube: https://www.youtube.com/watch?v=O8avA8tYhmk
Qui potete trovare maggiori informazioni: www.bluespiralrecords.com