- “Vitriol” è il tuo nuovo disco, puoi raccontarci qualcosa di questo lavoro?
Vitriol è un invito al viaggio all’interno di noi stessi, un invito alla ricerca e allo scavare nel profondo dei nostri perché, per essere in grado di trovare i nostri come. È un sentiero arduo e impervio rubato dalle nostre viscere, che permette di far riaffiorare nella nostra quotidianità, mondi poetici interiori fatti di suoni, immagini, simboli e colori. Vitriol è un invito a cercare l’alba dentro l’imbrunire. Ho cominciato la stesura dell’album quasi per caso, imbattendomi negli scritti del filosofo Alan Watts che è stato un enorme fonte d’ispirazione, sia per quanto riguarda le tematiche di fondo del concept, sia per quanto riguarda l’aspetto musicale. Ho cercato di tenere costantemente in memoria l’effetto originale che le parole di Watts hanno avuto su di me quando ancora non avrei immaginato di stare per creare un nuovo lavoro.
- Quanto tempo c’è voluto per preparare l’album?
L’album è stato concepito in circa un anno. Ma dalla sua prima stesura ha subito molte revisioni. Ci tenevo davvero a far sì che questo lavoro fosse coerente in termini musicali, compositivi e spirituali. Devo dire che per fortuna è stato un processo molto spontaneo, tengo a precisare infatti che non mi piace pensare ai tempi di “preparazione”, perché credo che in musica i tempi debbano essere fisiologici e paralleli al vissuto di chi crea. Un album o qualsiasi lavoro artistico richiede semplicemente il tempo necessario.
- Cosa è successo da “7even” in poi? C’è stata una evoluzione?
Se pur trattando di fondo tematiche affini al mio primo lavoro, Vitriol si è configurato come un album molto più “chiaro” rispetto 7even. È stato un mio imperativo categorico quello di cercare di non ripetermi ma, anzi, provare a cambiare totalmente rotta rispetto le sonorità più cupe del mio lavoro precedente. Paradossalmente quando lavoravo alla stesura dei brani, più che alla direzione della musica, cercavo di delinearne i confini attraverso l’uso dei colori, quasi si trattasse di un grande affresco. Una grande sinestesia. Dal punto di vista musicale, in questo album sono presenti molti più spunti ritmici, atmosfere brillanti e influenze derivanti dal post-rock e dalla soundtrack ed ethnic music. Sono presenti continui richiami alle culture orientali attraverso sonorità proprie di quelle terre millenarie come l’Africa e l’Asia e che nel disco sono affidati spesso a strumenti etnici che provengono da quei luoghi.
- Qual è il tuo background artistico oggi? Chi ti ispira nella musica e chi nell’arte?
Credo che la mia musica sia una sorta di crocevia di influenze di autori e generi musicali estremamente lontani l’uno dall’altro. Gli artisti in genere sono l’esatta sommatoria di tutto ciò di cui fanno esperienza. Il mio background artistico oggi è sicuramente arricchito dall’abbattimento di muri che in un certo qual senso mi derivavano dallo studio accademico. Ampliando la visuale in maniera libera, è possibile scrutare oltre il proprio visus abbandonando i preconcetti e includendo senza remore qualsiasi cosa riteniamo degno di far parte di noi stessi e della nostra parabola creativa. Sono alla costante ricerca di un futuro ex compositore preferito.
- Le collaborazioni per il nuovo album sembrano essere la tua cifra stilistica. Puoi parlarci un po’ di come sono avvenute e come è nata l’idea di collaborare con altri musicisti?
In Vitriol ho cercato di abbattere i confini angusti del mio scrivere per dare spazio all’inclusione di nuove forze creative. In questo senso sono state preziose le relazioni che ho stretto nel corso del tempo, spesso anche in maniera casuale, con musicisti eccezionali. Automaticamente la risposta mi si è palesata prima che io la cercassi e in cuor mio ho deciso da subito di includere altri orizzonti musicali derivanti da incredibili personalità. Ringrazio infinitamente: Pericle Odierna, Audrey Kessedjia, Mariko Muranaka, Agota Zdanavičiūtė. Il compositore Pericle Odierna è riuscito con la sua incredibile sensibilità ad alzare totalmente il livello dei brani “Labradorite” e “In the Beginning”. Grazie allo strumento da lui creato chiamato “Cleofono”, ormai segno distintivo di tutte le sue eccezionali colonne sonore, è riuscito a tessere le trame di un non detto musicale molto profondo che sicuramente arriveranno a chi sarà in grado di ascoltare ad antenne tese. La cantante Audrey Kessedjian mi ha regalato uno degli spunti artistici più belli dell’album nel brano “Reincarnation”. Quando le ho chiesto di partecipare al brano ne è stata subito entusiasta e le ho lasciato totale carta bianca. Il risultato di questo rapporto di cieca fiducia è tutto da ascoltare. Ho avuto l’onore di avere come violoncellista solista l’eccezionale Mariko Muranaka (Cirque du Soleil, Madonna, Michael Jackson). Con lei ho avuto il piacere di entrare in contatto tramite i social networks. Così una volta terminata la fase di scrittura del brano “The Chronicles of a Flower”, che ha come voce principale proprio il violoncello, ho subito pensato a lei. Dopo averle mandato la parte di violoncello, lei l’ha registrata in una remote recording session a Los Angeles e me l’ha reinviata qui in italia. Il suo lavoro è stato perfetto in ogni aspetto. Nel brano “In the Beginning” ho avuto l’enorme piacere di lavorare con Agota Zdanavičiūtė, leader dei “Laminguo”, gruppo folk originario della Lituania. Agota è una persona eccezionale e il suo legame con la natura e la terra la rende una persona estremamente speciale e rara. Nel brano sono sue le voci e le parti di “Zhiter”, uno strumento tipico lituano con sonorità avvolgenti ed etniche che riesce a dipingere paesaggi di suono derivanti da mondi certamente non visibili ai più.
- Nel disco ci sono parti cantate. Una questione molto discussa è quella del rapporto tra musica e parola: tu credi ci sia un predominio di una sull’altra?
Credo che il rapporto tra parola e suono sia un elemento estremamente delicato. L’utilizzo di due grammatiche espressive diverse difatti rende perfetta la commistione delle due cose solo in ambienti sonori specifici e molto curati. Personalmente credo che la musica strumentale sia autosufficiente dal punto di vista espressivo, pertanto spesso cerco di utilizzare la voce come un vero e proprio “strumento” e non come un vettore di messaggi legati ad altri aspetti dell’essere umano. In Vitriol l’aspetto della voce è stato studiato nei minimi dettagli per far sì che questa non risultasse in primo piano rispetto alla musica e per far sì che le due cose fossero bilanciate in un rapporto di osmosi naturale.
- Il tuo è un lavoro per così dire d’istinto o di “labor limae”?
Credo che il ruolo del compositore in fondo sia sempre stato, in senso alchemico, quello di traghettare al di qua del tangibile ciò che non è a tutti chiaro. Per effettuare questa operazione è necessario riconoscere entrambi i limiti della percezione e della struttura. Tutto ciò che faccio personalmente in fase di scrittura è scrivere. La struttura è qualcosa di estremamente utile e pericoloso allo stesso tempo, quindi cerco di lasciare la fase strutturale solo alla fine del processo creativo puro.
- Prima di scrivere sai già quale sarà il risultato? Oppure ti lasci sorprendere da soluzioni che non ti aspettavi?
Credo dipenda molto dal contesto. Ad esempio quando scrivo per una commissione per orchestra, tendo a scrivere direttamente tutto in partitura senza l’ausilio di strumenti esterni. Mentre, per quanto riguarda ad esempio la produzione di una colonna sonora, in quel caso subentrano altri tipi di variabili. In tal senso avere un rapporto caotico con le idee e gli spunti musicali mi permette di creare nuovi percorsi mentali che mi prefiggo di elaborare e che mi permettono in fine di ottenere risultati del tutto inediti.
- Fra i tuoi colleghi, i compositori di musica da film, chi senti più vicino?
Il mondo della Film Music sta avendo negli ultimi anni un’incredibile spinta evolutiva grazie alle grandi personalità che hanno delineato e stanno delineando con il loro apporto culturale e compositivo le linee guida del futuro prossimo di questa svolta epocale nell’ambito della musica. Attualmente sento molto vicino per sonorità ed approccio compositori quali: Ryūichi Sakamoto, James Newton Howard, Hans Zimmer, John Powell, Takashi Yoshimatsu, Alexandre Desplat, Ennio Morricone, Junkie XL , Thomas Newman, Wojciech Kilar, Alan Silvestri, John Williams e molti altri. Sono sicuro che grazie a grandi personalità si riuscirà in breve tempo a colmare le ridicole distanze che si sono venute a creare negli ultimi decenni tra ascoltatore e compositore e fra un certo tipo di musica autodefinitasi “colta” e arroccata in una fragile torre di cristallo, prossima all’inevitabile rottura e tutto il resto del florido panorama musicale odierno.
- Quale sarà il tuo prossimo progetto musicale
C’è fermento, ma preferisco mantenere ancora il gatto nel sacco per il momento.