
Tibero Ferracana nasce a Torino nel gennaio del 1964, vive la giovinezza a Collegno (TO). Figlio di profughi dalla Tunisia, siciliani che, agli inizi del ‘900, erano emigrati dividendosi tra agricoltori e operai per costruire la ferrovia. Cresciuto tra le letture di Baudelaire e le poesie siciliane di Buttitta, tra le canzoni di Aznavour e Rosa Balestrieri, e la musica araba, ha sviluppato una vera e propria passione per le contaminazioni tra le arti. Innata passione per la musica, a soli 9 anni prende forma il suo percorso artistico presso l’Accademia Lanaro di Torino, quando inizia a studiare e poi si diploma in organo elettronico. Di lì a poco i primi corsi di perfezionamento e specializzazione in organo liturgico sotto la sapiente guida del maestro Berto Fornasero. Perfezionatosi alla scuola di Mogol (C.E.T.) si diploma come autore di testi. Nella seconda metà degli anni ’90, si fa conoscere anche dal grande pubblico e dalla critica partecipando, e arrivando finalista alle più importanti rassegne musicali nazionali per giovani talenti tra le quali Sanremo Famosi e Voci Nuove per Castrocaro. Una sperimentazione continua: recital, concerti, commedie vaudeville e cabaret. L’abilità nel saper fondere la canzone con l’arte teatrale dell’interpretazione, gli è valso il premio Mia Martini come migliore interprete nel 1997 nella sezione nuove proposte, e lo stesso premio della critica da parte del Fan Club “Chez Mimì” l’anno seguente nella sezione vetrina giovani. Ringraziamo il cantautore Tiberio Ferracane per averci concesso quest’intervista.

1) Potresti raccontarci un po’ di te?
La mia storia parte da lontano, anni 80’. Subito dopo gli anni formativi e i miei studi classici, mi sono avvicinato alla composizione o meglio a scrivere canzoni da una parte e ad accompagnare con le tastiere band del circuito torinese. Poi ne ho fatti di mestieri per mantenere questa passione, e così mentre facevo l’impiegato di giorno, di notte suonavo nei locali, dal pianobar a cantare le mie canzoni o ripercorrere la storia dei più grandi per carpirne chissà quale segreto. Poi insegnante di canto e piano di accompagnamento specializzato in DSA (disturbi specifici dell’apprendimento). Fino ai primi festival vinti o molti altri persi e qualche disco, tra cui uno come interprete. Ed ora eccomi qua!.
2) C’è stato qualche episodio particolare che ti ha fatto sentire il bisogno di scrivere le tue canzoni? Qual è stato il tuo percorso formativo e che cosa ti ha influenzato di più?
Mi ha sempre mosso la curiosità, l’amore e la voglia di raccontare storie, il mio mezzo è la canzone. Il mio percorso formativo è legato a fattori familiari. I miei genitori sono nati a Tunisi; fanno parte di una comunità di siciliani immigrati in Africa ( i miei nonni e bisnonni). Ho avuto un’educazione culturale mista, tra il francese, il siciliano l’arabo. Quindi invariabilmente ascoltavo i cantautori francesi cosi come leggevo Buttitta e Sciascia ed ho conosciuto i 7/8 della musica Araba.
3) “Magaria” è uscito l’11 marzo del 2022, puoi parlarci di questo disco?
“Magaria”, che in siciliano vuol dire Incanto, incantesimo magia è la mia memoria de “I siciliani di Tunisi”, ma non volevo raccontare in modo diretto questa storia, piuttosto far arrivare i sapori gli odori le lingue mischiate che si parlavano si parlano a casa mia: Siciliano, francese, italiano e una punta di arabo. Che il piatto della domenica era il Cous Cous anzichenò la pasta con le sarde e l’aperitivo è a base di Pastis e polpo bollito con l’harissa. Volevo parlare di porti da cui si parte ed altri in cui si approda, che sono le antiche e nuove rotte che si ripetono. Volevo respirare aria di Mediterraneo, questo Mare, questo Nostro Mare ricco di cultura lingue e genti. Ma non solo, volevo dare una colonna sonora a questo racconto, a questa navigazione. Così ho scelto anche brani di colleghi ben più famosi, dei monumenti della musica italiana e non solo, vedi Serge Reggiani con “L’italien” che d’immigrazione parla nella sua canzone, ma quella di rientro. Quella in cui manca l’identità dove si è persa l’identità. Ma si è acquisiti una ricchezza culturale che è la grande fortuna che ho avuto.
4) Quanto tempo ha richiesto la realizzazione del album?
Un anno circa, le canzoni c’erano già tutte, tranne una che ho scritto e inserito all’ultimo momento.
5) Attualmente, è difficile pubblicare un disco, un EP, un singolo o un videoclip?
Io ho scelto la strada impervia dell’album, che ormai è quasi anacronistico. Ma tutte le scelte fatte per questo lavoro sono state una scommessa. Sin dalle tracce che sono 14 in verità 16 con l’intro e la chiusura. Si non nascondo la difficoltà ma io ero mosso dalla voglia, dalla necessità di fare uscire questo disco. Erano 10 anni che non uscivo con un Disco. Insomma, ero ben motivato.
6) Come hai affrontando il precedente stato d’emergenza da virus SARS-CoV-2 e cosa provi per l’attuale abbattimento delle restrizioni?
Ho capito che non dovevo perdere il tempo e quindi ho cercato di lavorare con dei ritmi simili a quelli della normalità. Mi sono concentrato sullo studio, sul disco che era già in embrione. Terminato brani rimasti in attesa, sospesi. Ora mi concentro sul futuro sulle cose da fare, i ritmi da recuperare. Paradossalmente trovo più difficile ora la compensazione del tempo rimasto sospeso che prima vivere un’emergenza. Ma è una questione di abitudini, piano piano riprenderemo i nostri viaggi.
7) Quanto di personale c’è nei tuoi pezzi?
In questo disco, c’è un racconto di base che è personale, ma indiretto. Parlo delle mie origini, delle mie radici per parlare di me stesso.
8) Cosa ne pensi della Loudness War e dell’intensivo utilizzo della compressione dinamica?
Se ci pensate c’è qualcosa di malsano. Una spinge ad alzare il volume e l’altra a controllarlo. Comunque, la mia scelta nel disco è stata quella di far sentire i suoni veri, per quello che sono. Tutto in acustico, con un’attenzione maniacale, tanto da sentire lo sfiato della fisarmonica e lo scricchiolo dello sgabello del pianista.
9) Che consigli daresti ai nuovi artisti che desidererebbero emergere?
Io non sono in grado di dare consigli, tuttavia. C’è poco da fare questo è un mestiere. Prima di pensare di fare 13, bisogna lavorare, studiare. Fare bottega, come fanno fare i migliori artigiani ai nuovi ragazzi che devono formare.
10) Gli artisti spesso vivono immersi nelle emozioni del presente. Il futuro ti spaventa? Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Io vivo il presente o meglio cerco di viverlo, è una missione non facile. Ma non ho paura del futuro, anzi mi ha sempre affascinato. Adoro pensare e fantasticare, fare e progettare per il futuro. Ora è quello di fare conoscere questo mio Disco, da settembre partire con una serie di concerti, con uno spettacolo che sto montando e poi chissà cosa mi riserverà il futuro!. Grazie per le domande, un abbraccio.
L’ha ripubblicato su THE MUSICWAY MAGAZINE.
"Mi piace""Mi piace"