
Cantautrice, esordisce a Roma alla fine degli anni ’90, incoraggiata da Nada, con una serie di concerti chitarra e voce, che la portano ad ottenere il riconoscimento del Premio Italiano Giovani, indetto da ‘Musica’ (supplemento di Repubblica). Negli anni successivi crea una formazione folk-rock, con la quale dà inizio ad una breve intensa avventura, fatta di prestigiosi live (dei quali ArezzoWave 2002 è il culmine) e di lavori in studio (incisione di “The piercing virtue”, disco su testi di E. Dickinson, non pubblicato). Riprende a suonare dal vivo chitarra e voce, esibendosi tra l’altro, nel 2006, ad una della prime edizioni del premio De Andrè, alla Magliana, Roma. Dal gennaio 2009 progetta e porta in giro, con l’organettista Valeria Bianchi e il violista e compositore Tiziano Carone, un concerto/studio su De Andre’, che esordisce l’11 gennaio (10 anni dalla morte), nel Teatro occupato ex-Volturno, a Roma. Il concerto viene replicato in numerose occasioni, la più curiosa delle quali è all’Università di Malta, su invito delle organizzatrici di Evenings on Campus, rassegna di musica estiva. Nel 2010 forma un trio, ‘Coqs Fous’ assieme a Franco Fosca (grandissimo busker, cantautore, dylaniano di ferro), e a Danila Massimi (percussionista e compositrice) coi quali ha l’onore di esibirsi al Festival Internazionale della Poesia di Genova. In un’altra serata dello stesso Festival suona alcune poesie di Emily Dickinson, in qualità di vincitrice del Premio ‘Suona la Poesia’, indetto dal Mei di Faenza e dal Festival di Genova, con il brano The Covert, tratto da Piercing Virtue. Al Mei di Faenza ha partecipato in due occasioni, cantando Emily Dickinson e brani originali. Dal 2015 si è occupata del supporto e della diffusione di un gruppo informale di cantautori per lo più romani, organizzando concerti, individuali e collettivi, presso LaStalla, in Sabina. Ringraziamo la cantautrice per averci concesso quest’intervista.

1) Potresti raccontarci un po’ la tua storia artistica?
È una costante ricerca, un constant craving, come cantava kd lang, compiuta per la maggior parte in un mondo sotterraneo, cioè, potremmo dire, privato. C’è una bella contraddizione nel volersi esprimere rimanendo nascosti, sottraendosi allo spazio pubblico, mi rendo conto. Su questa soglia invisibile tra pubblico e privato mi sono tenuta in equilibrio precario per moltissimi anni. Fra il primo concerto e il primo disco sono passati 20 anni… In realtà ne avevo inciso un altro, di album, dedicato a Emily Dickinson: ‘The Piercing Virtue’: una bella produzione presso una indipendente romana. Ma non è stato pubblicato, malgrado io abbia fatto tutti gli sforzi a me possibili allora. Probabilmente lì c’è stato un piccolo grande trauma, perché quella storia l’ho vissuta male; avere l’obbiettivo così vicino e perderlo… e per di più in conseguenza di quei fatti, più o meno, ho perso anche la fiducia e la pazienza dei miei compagni di viaggio, e sono andata un po’ in tilt. Per quanto riguarda quel disco, spero che venga un suo momento.
2) C’è stato qualche episodio particolare che ti ha fatto sentire il bisogno di scrivere le tue canzoni? Qual è stato il tuo percorso formativo e che cosa ti ha influenzato di più?
Se c’è stato un episodio particolare, non lo ricordo. So che da quando ho imparato a suonare i primi accordi, l’istinto mi ha portato a metterci parole mie. Ero nella prima adolescenza. Comporre e cantare è stato un balsamo, creare uno specchio, un’arma dolce e dolorosa che mi dava modo di riflettere sensazioni ed emozioni, a cui mi sono affezionata, e affidata, moltissimo. Già da prima scrivevo poesie, imitando il minore dei miei fratelli, che mi ha insegnato, senza saperlo, a usare le parole in modo ‘indisciplinato’. Eravamo negli anni ’70, c’era una gran voglia di libertà, anche una bambina la respirava. Leggevo con grande trasporto Gianni Rodari, un vero maestro, in questo senso.
3) L’album “Terra Liberata” è uscito il 3 febbraio del 2022, puoi parlarci di questo lavoro e del disco “Lo Straniero”?
Sono i primi album con mie canzoni, da me prodotti, fra l’altro, e ne vado fiera. Possono risultare ostici, o forse anacronistici, però sintetizzano bene i miei temi principali, quelli che da maggior tempo premevano, e infatti sono essenziali, soprattutto il primo. Il secondo è stato chiamato dal primo, come a completare un quadro. Qualcosa che mi premeva dire l’ho detta, è stata anche una liberazione. Ne facessi un altro, userei altri pennelli e colori, credo.
4) Quanto tempo ha richiesto la realizzazione del singolo e del videoclip?
Uhm… non credo ci siano singoli, e per quanto riguarda i videoclip ne ho fatto qualcuno, piuttosto artigianale, tranne quello della canzone ‘Lo Straniero’, che è stato ben ideato girato e montato da Iaia Fioretti, una videomaker di Lanciano davvero in gamba, intelligente e sensibile, che ho conosciuto tramite Momo, Simona Cipollone, un’Artista con la maiuscola a cui sono grata per tanti motivi, oltre a questo.
5) Attualmente, è difficile pubblicare un disco, un EP, un singolo o un videoclip?
Non è difficile, ma è molto probabile che sia inutile, almeno nell’ottica odierna. Le cose inutili però hanno una grande utilità, e questa massima proviene da molto lontano, nel tempo e nello spazio, basterebbe restare semplici per capirla.
6) Come hai affrontando il precedente stato d’emergenza da virus SARS-CoV-2 e cosa provi per l’attuale abbattimento delle restrizioni?
Questa domanda mi provoca l’orticaria. Forse perché la trovo molto intima, al di là delle apparenze. Credo che questo periodo, questi ultimi anni, siano stati molto importanti per tutti, e anzi lo siano ancora, perché il periodo non è finito e il suo succo, i suoi frutti, belli o brutti che siano, sono ancora da vedersi. Per quanto riguarda l’abbattimento delle restrizioni, non so bene a cosa ti riferisci. A livello politico-sociale non mi sembra si sia abbattuto nulla, se non, appunto, nella nostra intimità, che in moltissimi casi si è potuta espandere e conoscere meglio, anche nella sofferenza. Lo stato d’emergenza rimane quello di sempre: come tutti sento il bisogno di maggiore sincerità, di maggiore consapevolezza da parte dei ‘governanti’ e da parte nostra, che governiamo ‘solo’ la nostra vita. Più coraggio, più verità.
7) Quali sono i brani che più ti rappresentano?
In ognuno ritrovo me stessa, ma mi capita anche con le canzoni degli altri.
8) Quanto di personale c’è nei tuoi pezzi?
Direi tutto. Ma come dicevo nella risposta precedente, non è che il personale sia poi così specifico. Una canzone funziona se chi ascolta ci trova qualcosa di suo, e questo accade quanto più si è personali. Siamo molto più simili di quanto immaginiamo. Questo non vuol dire che non esiste l’individualità, solo che non è così fondamentale come a volte si crede.
9) Sei un cantautore che scrive molti pezzi oppure hanno difficoltà a nascere?
Nascono con una certa irruenza. O meglio nascevano. Ne ho scritti moltissimi, ma gli ultimi anni sono stati parchi.
10) Cosa significano per te improvvisazione e composizione e quali sono, per te, i loro rispettivi meriti?
Ho sempre pensato di fare musica ‘punk’, per come io l’ho vissuto, questo termine: improvvisazione e disperazione. Certamente negli anni la consapevolezza è aumentata e ho imparato bene la struttura di una canzone, le sue leggi. Ma non so dirti se questo ha migliorato il mio lavoro. So che altrimenti non potevo fare, perché l’improvvisazione totale l’avrei finta, a quel punto, cioè non sarebbe più stata tale. Però se non ce n’è almeno un pizzico, la canzone non mi soddisfa. Questo riguarda sia la questione tecnica che tematica, l’argomento prescelto. Ovvero: non c’è mai un argomento prescelto, c’è la vita e le emozioni e i passaggi, miei e di ciò che mi circonda, persone e cose, e mi trasforma, mi spinge, mi muove. Prendendo la chitarra e cantando esprimo ciò che non so e che mi attraversa, l’ignoto, l’inafferrabile. E non lo afferro, naturalmente, l’inseguo.
11) Che attrezzatura usi per comporre le tue tracce?
Quando ho avuto la fortuna di suonare con altri musicisti la composizione avveniva in sala prove (ed era sempre improvvisata). C’è stato poi un periodo in cui ho comprato una bella scheda audio, ho imparato a usare Cubase, e poi Nuendo, e mi sono cimentata anche con tastiera, basso, armonica e come si dice, ‘giocattoli’. Ad esempio il famoso scacciapensieri siciliano. Ho composto almeno una ventina di tracce così, in italiano e in inglese, roba che a me continua a piacere molto. Ma non ho trovato un musicista che volesse aiutarmi a suonarle dal vivo, e io non ero in grado di finalizzarle: dal punto di vista propriamente tecnico, sono tutte degli incompiuti. ‘La Terra Liberata’ invece, ha un arrangiatore vero e proprio, Carlo Melodia, a cui ho affidato i brani dopo aver registrato le tracce base di chitarra e voce alla ‘Mad Factory’, di Giannantonio Rando, in Sabina. Loro due hanno curato le riprese, e Carlo ha composto gli arrangiamenti. Le tracce sono poi arrivate a Roma all’Ermes Studio, da Franco Pietropaoli, che ha finalizzato il tutto, aggiungendo anche degli ottimi cori, disponendo lui di un’ottima voce, fra le altre cose.
12) Oggi forse più di ieri c’è una contaminazione dei generi. Pensi che la musica si sia aperta al mondo?
È una domanda stimolante, nella sua oscurità… Io credo che la musica abbia contribuito a farlo, il mondo! È una delle sue divinità. Da poco più che profana, direi anche, mettendo i piedi a terra, che ciò che ascoltiamo e nei secoli abbiamo ascoltato è sempre frutto di contaminazioni. Ci sono legami molto forti tra le musiche di ogni cultura. Quando si ascolta tiratissima tecno, che sembra il massimo della modernità dell’occidente industrializzato, si ricrea l’atmosfera ritmica liberatoria delle grandi giornate rituali di alcuni popoli così detti primitivi, che non a caso durano più e più giorni, esattamente come un rave.
13) Come giudichi l’uso della tecnologia e dei social media al servizio della musica?
Se sono al suo servizio, come potrei giudicarli male?.
14) Cosa ne pensi della Loudness War e dell’intensivo utilizzo della compressione dinamica utilizzata nelle tracce audio?
Questo è un fatto particolarmente tecnico in cui non voglio impelagarmi. La musica che faccio è piuttosto semplice, e alterarne molto l’effetto non serve granché. Ho sempre cercato la sincerità, o la dirittezza, anche nei suoni, l’essenzialità. Questo non esclude l’elettricità, e a volte anche il barocco, di cui a volte mi sono servita (penso soprattutto a ‘The Piercing Virtue’), ma qui è una questione di gusti: i miei riferimenti sono gli anni ’70, quando certe questioni esistevano ma non in modo così ossessivo. È una posizione retrograda, forse, ma essenzialmente una questione di gusto, o di stile, nel migliore dei casi.
15) Il ruolo del cantautore è sempre stato soggetto a cambiamenti. Qual è la tua opinione sui compiti (ad esempio politici / sociali / creativi) degli artisti di oggi e come raggiungi questi obiettivi nel tuo lavoro?
Secondo me un cantautore, un musicista, un cantante, un autore, un poeta, in definitiva ha gli stessi compiti di tutti. Fare il meglio che può. Creatività è un termine che oggi si adatta soprattutto ai pubblicitari di ogni risma, quindi ho sviluppato qualche sospetto, riguardo a questa parola. Politico e sociale è l’ambito in cui ogni persona si rappresenta e interagisce, a prescindere dal mestiere che fa. Sono davvero convinta che tutti creano e determinano la realtà, con il solo esistere e sentire.
16) Come pensi che le composizioni contemporanee possano attirare l’attenzione di un pubblico più ampio?
L’attenzione è una cosa rara, ultimamente. Siamo tutti un po’ distratti. È un periodo furibondo e frenetico, rimanere presenti non è facile. Nelle tempeste si cerca riparo o salvezza, tutto sta a quali metodi si scelgono per quest’impresa.
17) Che consigli daresti ai nuovi artisti che desidererebbero emergere?
Se sono immersi prima devono ritrovare la terra e metterci i piedi sopra. E poi cercare di orientarsi, guardandosi intorno, e ponendo attenzione, soprattutto. Questa d’altronde è la mia esperienza, ancora in corso; per il resto di consigli come si sa è meglio non darne, soprattutto se non richiesti.
18) Gli artisti spesso vivono immersi nelle emozioni del presente. Il futuro ti spaventa? Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Spero di essere perdonata se cito il maggiore, grandissimo e controverso cantautore americano. Quando gli chiesero cosa provava, cosa pensava dell’11 settembre rispose: è iniziato il futuro. Sono d’accordo: siamo già nel futuro, per questo il presente ci disorienta così tanto.