Un nuovo clavicembalo per il Museo della musica di Bologna

Un clavicembalo di scuola italiana è stato acquisito dal Museo internazionale e biblioteca della musica di Bologna, arricchendo così la dotazione di strumenti musicali e utilizzabile stabilmente nella programmazione degli eventi concertistici e di laboratorio rivolti al pubblico. Il clavicembalo è stato costruito dalle maestre cembalare Carla Frezzato e Cinzia Laura Di Mattia con materiali simili agli originali (cipresso per la tavola armonica con finiture ebanistiche) e secondo tecniche costruttive rispettose del risultato tecnico e fonico ma anche estetico, grazie alla splendida decorazione finto marmorea del coperchio, realizzata dall’artista Lidia Trecento del Laboratorio di Scenografia di Pesaro, che riproduce un dettaglio rinascimentale ispirato alla Basilica di Santa Maria Novella di Firenze. Lo strumento, il più diffuso e versatile tra quelli a tastiera a corde pizzicate con il plettro, è una copia storica della tradizione italiana con tastiera semplice a 45 tasti ispirata alla produzione del maestro Giovanni Battista Giusti (Lucca, 1758 – Bologna, 1829), nome di spicco dell’arte cembalaria italiana che si sviluppò in Italia nel corso del XVI secolo. Gli strumenti italiani differivano da quelli di altri paesi a causa degli spessori assai sottili di costruzione del corpo, che contrastavano con le robuste casse all’interno delle quali gli strumenti venivano sistemati. Caratterizzato da un’estetica limpida e lineare conferita dalla linea morfologica slanciata della cassa a forma di ala, il clavicembalo è inteso soprattutto come sostegno alla voce e agli strumenti. Il timbro classicamente italiano ricco di armonici lo rende adattabile a un’ampia varietà di esecuzioni e particolarmente efficace nelle composizioni contrappuntistiche, mentre la grande estensione di cinque ottave ne fa uno strumento adatto allo studio di tutto il repertorio cembalistico.Questa recentissima acquisizione segue quelle del pianoforte Bechstein del 2012 e dello Steinway & Sons appartenuto a Marco di Marco, donato dalla famiglia al museo nel 2019.

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