INTERVISTA ESCLUSIVA AI MATRIOSKA SOCIAL CLUB

Il progetto Matrioska Social Club ha origini salentine, ed è stato elaborato e concepito a Bologna. Partono da un powerduo, non un complesso musicale ma un collettivo. Nasce da un’idea che ronzava da tempo per la testa di Lorenzo Zizzi (chitarre e voci) ovvero quella di rappresentare un mondo ormai quasi del tutto passato. Il mondo del non essere un singolo che competa con l’altro (il diverso, il rivale), ma bensì di un singolo che collabora o che almeno si confronti con l’altro, cercando di formare un corpo, un collettivo in cui ciascuno propone le sue idee e in base alle capacità e i bisogni individuali che possono variare a seconda delle circostanze. Quindi decide di invitare alla collaborazione del suo nuovo progetto una vecchia anima complice, già vissuta nel suo passato non troppo remoto, Gian Piero Nicolì (batterista). Complici fin da ragazzi (dal 2002) sfornano diverse idee in tempi e contesti differenti ma sempre con la stessa forza, propensione e con la stessa vena rock che muta, si trasforma in continuazione in base alle diverse personalità che incontrano e inconsciamente, in ogni contesto formano un corpo modulare dove poter posarci addosso qualsiasi idea. Tra riff di chitarra e fill di batteria, crescono e formano diverse band. Minerva e Token, due tra le diverse band vissute, le più longeve nel quale hanno transitato e dove sono emerse le prime composizioni, messe in sacco e portate in giro per alcune regioni del bel paese. Saltano fuori dopo 10 anni con questo nuovo progetto e ci propongono brani dall’anima rock, scritti e composti alla chitarra da Lorenzo.

RINGRAZIAMO I MATRIOSKA SOCIAL CLUB PER AVERCI CONCESSO QUEST’INTERVISTA

1) Com’è nato il vostro nome d’arte? Potete raccontarci un po’ di voi?

Ci piaceva l’idea della Matrioska e del suo significato mistico e in parte esoterico. Racchiude un’idea di un insieme di corpi che possono al tempo stesso essere parte di un unico organismo. Di noi possiamo dirti che siamo due anime complici da più di 20 anni, ci siamo conosciuti in un’associazione musicale del nostro piccolo paesino di origine che eravamo praticamente ragazzini. Avevamo una forte passione nei confronti della musica e l’abbiamo tuttora, la viviamo più in maniera patologica, non ci piace soffermarci al semplice risultato di qualcosa che può suonare bene agli altri ma ci deve persuadere al di fuori dal risultato tecnico e ottimale, non sappiamo come spiegarlo in altre parole, è così difficile a dirsi.

2) C’è stato qualche episodio particolare che vi ha fatto sentire il bisogno di scrivere le vostre canzoni? Qual è stato il vostro percorso formativo e che cosa vi ha influenzato di più?

Si, diciamo nel complesso si tratta di un insieme di episodi o vicende che costernano la nostra esistenza ma con Ext, in questo caso  l’ispirazione è venuta fuori dopo aver assistito ad una lettura scenica di Pierpaolo Capovilla mentre interpretava gli scritti di Antonin Artaud, e ci fu un concetto sulla follia e la presunta normalità che mi rimase letteralmente in continua fermentazione nel cervello. Qualche pomeriggio dopo mi è venuto fuori di getto il testo di Ext. Che a quel punto mi sembrava più che opportuno chiedere al buon Pierpaolo (che salutiamo calorosamente) di partecipare e interpretare il pezzo assieme a noi no?! Abbiamo preso spunto da un verso di Vladimir Majakovskij tratto da Nuvole in calzoni, per lui credo sia stata una passeggiata data la sua militanza e costanza letteraria che conduce in parallelo con i suoi complessi musicali. È venuta fuori una bomba, già nelle prime prese, nelle sessioni di registrazione prima che arrivasse Pierpaolo, con Giampiero sentivamo che c’era un energia atomica fuori dal normale intorno a questo brano. Per quanto riguarda il percorso formativo, come già detto in precedenza, abbiamo iniziato in un’associazione musicale per poi continuare con didattiche di autoformazione. Ci ha influenzato un mondo di roba, che non sto qui a evidenziare ma diciamo che nel complesso non abbiamo mai avuto molti paletti di genere. Abbiamo ascoltato di tutto. Prevalentemente la musica rock con tutti i suoi sottogeneri e il cantautorato.

3) Il debut album “Matrioska Social Club”, è uscito il 14 aprile del 2023, potete parlarci di questo lavoro?

Il progetto era in fase di allestimento in chiave acustica inizialmente, sono state scritte in solitaria e si procedeva verso un’altra direzione. Poi è arrivata la folgorazione di provare a convertire tutto in elettrico e di impastare dei suoni con accordature in drop D per provare a sentire come avrebbero potuto suonare in un power duo chitarra e batteria, una volta accertati che i suoni erano saturi e convincenti ci siamo sentiti e siamo partiti, a sfidare l’ignoto per l’ennesima volta. A quel punto abbiamo visto entrambi che c’era del potenziale e abbiamo studiato e sistemato gli arrangiamenti per poi infilarci in studio con tutte le nostre idee, alcune le abbiamo anche modificate in corso d’opera perché non avevamo avuto il tempo sufficiente per definire gli arrangiamenti a regola d’arte. Perchè Giampiero non è stabile su Bologna per vari impegni e quindi abbiam dovuto spingere sugli acceleratori.

4) Quanto tempo ha richiesto la realizzazione del disco?

Poco considerata la quantità e la mole di lavoro che c’è dietro alla realizzazione di un disco di questo genere. 4 giorni solo per le prese strumentali e per le voci i cori e la registrazione di stupidi eroi (unico brano in acustico) altri 3.

5) Attualmente, è difficile pubblicare: un disco, un EP, un singolo o un videoclip?

Dal nostro punto di vista è tutto fottutamente difficile. In un certo senso ti ritrovi a ricoprire un ruolo anche manageriale, quindi devi cercare di non banalizzare tutto ciò che di buono è stato fatto in precedenza. Sbagliare è più facile di quanto possa sembrare. Perché devi trovarti nelle condizioni di interagire con persone che capiscano come vuoi esprimerti. Una dissonanza concettuale può aprire una voragine dal quale non se ne esce facilmente. Questo è un fattore che non può sempre finire nel migliori dei modi. Per questo è indispensabile trovare delle realtà discografiche esperte che ti aiutino a coordinare il da farsi passo dopo passo. 

6) Come avete affrontando il precedente stato d’emergenza da virus SARS-CoV-2 e cosa provate per l’attuale abbattimento delle restrizioni?

Lo abbiamo affrontato come tutte le dinamiche esistenziali a rischio, inizialmente lo abbiamo vissuto come tutti nel terrore. Poi abbiamo maturato l’idea che fondamentalmente in passato l’umanità ha affrontato dei drammi anche molto più pericolosi e seri dell’emergenza pandemica che abbiamo avuto modo di affrontare nel nostro tempo. Siamo certi e sicuri che la situazione è stata imbarazzante e ad alto rischio anche per via di tanti altri problemi già pre-esistenti e che abbiamo tutti chi più e chi meno volutamente trascurato, perché eravamo troppo presi dal panico e dalle misure restrittive governative. Pare che il mondo da un giorno all’altro si fosse trasformato in una caserma a cielo aperto, dove tutti eravamo in guardia e pronti a contestare un atteggiamento diverso da quello imposto dalle autorità governative. Di buono la quarantena ci ha portato dei ritmi più umani e ci ha permesso di dedicarci a percorsi creativi, per esempio noi ci siamo dedicati a vari percorsi creativi tra cui lo “studio” del piano. Uscire dalle restrizioni è stata una pseudo liberazione.

7) Quali sono i vostri pezzi che più vi rappresentano?

Non ci sono pezzi che ci rappresentano di più. Ci rappresentano tutti.

8) Quanto di personale c’è nelle vostre canzoni?

Poco, almeno per ora, in questo album. Descriviamo il nostro io nell’insieme. Non ci sentiamo protagonisti, siamo parte dell’organismo, quindi c’è tanto di personale quanto di impersonale.

9) Siete una band che scrive molti pezzi oppure hanno difficoltà a nascere?

Non scriviamo molti pezzi ma neanche pochi, la difficoltà quando c’è è meglio non insistere, perchè non saremmo sinceri con noi stessi e di conseguenza non lo saremmo con nessuno.

10) Da dove traete ispirazione? Avete qualche tipo di rituale prima di iniziare a lavorare?

No non abbiamo rituali specifici e l’ispirazione ci viene dal contatto con la realtà. Da quello che ascoltiamo, da quello che leggiamo, da quello che viviamo quotidianamente e dal nostro io interiore.

11) Come reagite quando avete un blocco creativo?

Meglio restare fermi, che tirar fuori delle cagate.

12) Cosa significano per voi improvvisazione e composizione? E quali sono per voi i loro rispettivi meriti?

Improvvisazione è esperienza e talento, composizione è studio e dedizione, possono viaggiare insieme o andare ognuno per conto proprio, i risultati ovviamente saranno estremamente diversi.

13) Che attrezzatura o software usate per comporre la vostra musica?

Siamo poco digitali, ci piace suonare alla vecchia, però ovviamente ci siamo dentro in qualche modo, essendo che siamo distanti, spesso usiamo garage band per inviarci le tracce e suonarci sopra prima di arrivare in sala prove.

14) Oggi forse più di ieri c’è una contaminazione dei generi. Pensate che la musica si sia aperta al mondo?

Crediamo che in fondo la contaminazione ci sia sempre stata, magari oggi per via della tecnologia informatica, lo scambio di informazioni è più veloce di ieri e ne determina una maggiore influenza. La musica credo che ne abbia perso dal punto di vista dell’autenticità. Si suona sempre meno e ci si affida sempre più ai mezzi digitali, basi e campionature. Comprendiamo che abbassi i costi di produzione ma in compenso le canzoni hanno un suono sempre meno autentico e caratteristico.

15) Come giudicate l’uso della tecnologia e dei social media al servizio della musica?

Pensiamo che il mezzo non sia mai l’origine del problema ma come viene gestito e utilizzato.

16) Cosa ne pensate della Loudness War e dell’intensivo utilizzo della compressione dinamica utilizzata nelle tracce audio contemporanee?

È una guerra, quindi una competizione e il fine, se abbiamo ben capito, è quello di surclassare i volumi dei dischi dei concorrenti. Noi siamo per l’elevazione dei contenuti artistici, queste robe hanno poco a che vedere con l’arte.

17) Il ruolo dei cantautori e delle band è sempre stato soggetto a cambiamenti. Qual è la vostra opinione sui compiti (ad esempio politici / sociali / creativi) degli artisti di oggi e come raggiungete questi obiettivi nel vostro lavoro?

Pensiamo che tutto sia politico anche il fatto stesso di non voler affrontare tematiche politiche. Anzi è molto più politico di quanto non possa sembrare. Come l’essere apartitico non vuol dire non avere un contenuto politico. La musica è un arte, e come ogni forma d’arte ha lo scopo di emancipare e liberarci dalle nostre gabbie mentali, è ricerca, ascolto, attenzione a quello che porti dentro. Spesso si scambia l’intrattenimento con la cultura e questo è un danno per noi tutti. L’intrattenimento ha il fine di tenerti spensierato, di non preoccuparti del tuo essere e di come stai consumando la tua esistenza, quindi ti lascia in balia del mondo che ti viene posto davanti agli occhi. La cultura ti invita a pensare, tu non sei uno spettatore che ha acquistato un biglietto per consumare una giornata spensierata ad un mega evento, cultura (dal latino vuol dire coltivare la terra, prendersi cura), devi prestare attenzione e quindi partecipare, recepire ciò che il mittente vuole comunicare, lo puoi criticare dopo, prenderne le distanze ma inevitabilmente ti porta ad elaborare un pensiero a sviluppare un senso critico, a coltivare in te una personalità, un pensiero proprio. Tutto questo purtroppo sta scomparendo e credo che sia un segnale d’allarme serio, anche i social diventano sempre più rapidi e intuitivi, siamo passati dalla riduzione dello spazio di descrizione (max 140 caratteri per es.) a social che puoi solo condividere immagini, video e sono quelli che poi tra l’altro che vanno per la maggiore. Anche questa è politica, la quinta rivoluzione industriale è l’ennesima prova al quale siamo chiamati a resistere ma noi siamo solo in grado di usare questi apparecchi non certo di percepire la sua reale natura deleteria, dal punto di vista fisiologico, sociologico, cosa comporta l’avere un dispositivo che ci tiene sempre in allerta e quasi mai con la mente libera? Abbiamo tonnellate di intrattenimento in tasca, a portata di mano. Ci fa bene tutto questo?

19) Gli artisti spesso vivono immersi nelle emozioni del presente. Il futuro vi spaventa? Quali sono i vostri progetti per il futuro?

Non ci spaventa il futuro, i progetti sono cercare di continuare ad amare quello che facciamo e coinvolgere in questo viaggio tante anime complici. Abbiamo voglia di suonare, conoscere e farci conoscere, progettare nuovi album, magari con altre collaborazioni, dividere esperienze con anime affini e non pascolare sempre nel solito prato.

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