È appena uscito l’album del compositore e ricercatore Daniele Salvati dal titolo “Alberi”. Daniele Salvati compone musica elettronica sperimentale e fa ricerca nel campo dell’elaborazione e dell’analisi del suono. Le sue creazioni nascono al computer, da elementi generati con processi di sintesi e algoritmi per la manipolazione audio, attraverso un procedimento volto a scolpire in sinergia i suoni e i loro mutamenti. Vive a Roma.
Abbiamo incontrato l’artista per una intervista esclusiva che riportiamo di seguito.

Benvenuto Daniele e grazie per questa intervista.
C’è stato qualche episodio particolare che ti ha fatto sentire l’esigenza di comporre?
Quale è stato quindi il tuo percorso formativo e cosa ti ha formato maggiormente? Sono cresciuto in una famiglia che apprezzava molto la musica. In casa avevamo vari strumenti musicali, una discreta collezione di vinili di musica classica, ma anche qualche disco di musica elettronica e concreta, finito lì un po’ per caso. Ricordo che quei suoni mi incuriosivano molto. C’era poi questo magnetofono, io ne ero molto affascinato, e mi divertivo a registrare e manipolare quei grandi nastri. Era uno dei miei giochi preferiti, e in fondo non ho poi mai smesso di giocare con tali dispositivi. Intrapresi comunque lo studio della chitarra, passai a sperimentare dal magnetofono ai multitraccia, e successivamente iniziai ad utilizzare strumenti elettronici, campionatori e sintetizzatori, e poi il computer con i primi software, allora veramente rudimentali. Mio padre poi era un appassionato di elettronica, e assemblavamo insieme questi kit di sintetizzatori analogici ed effetti musicali. Alcuni erano davvero bizzarri, li ho usati per molto tempo nei live electronics che facevo negli anni Novanta. Desideravo anche capire e conoscere come quei suoni venivano generati e manipolati, e questo mi ha portato, attraverso vari studi accademici, a formarmi nell’ambito della scienza del suono.
È da poco uscito il tuo nuovo disco “Alberi”, puoi raccontarci qualcosa di questo lavoro?
Il disco nasce completamente al computer, utilizzando solo suoni generati da processi di sintesi digitale, partendo quindi da forme di suoni elementari, onde sinusoidali, triangolari, quadre, e via dicendo, per generare suoni più complessi e articolati. Questo per me è stato molto importante, perché ha definito e circoscritto l’ambiente tecnologico specifico con cui lavorare, e mi ha permesso di concentrarmi più liberamente sulla composizione. Il lavoro è composto da sette tracce, che sono legate da un processo narrativo, concepito come un viaggio interiore che parte da strutture radicate e ben definite, per approdare a forme più materiche e allo stesso tempo impalpabili e aperte. Questa evoluzione narrativa è strutturata anche attraverso una dilatazione del tempo e dei suoni.

Pubblicare un disco prevede un incontro positivo fra artista ed editore, e questo probabilmente non è facile che accada. Io ho avuto la fortuna di incontrare la Blue Spiral Records al momento giusto, ma si dice che la fortuna aiuta gli audaci.
Quanto tempo c’è voluto per preparare l’album?
Le composizioni fanno parte del lavoro degli ultimi 10 anni. Ad un certo punto mi sono ritrovato con molto materiale, ed è quindi iniziata l’idea di un album. Selezionando parte di questo materiale, ha cominciato a mano a mano a prendere forma il disco, che ha visto la stesura finale l’anno scorso.
Oggi, è difficile riuscire a pubblicare un disco?
Pubblicare un disco prevede un incontro positivo fra artista ed editore, e questo probabilmente non è facile che accada. Io ho avuto la fortuna di incontrare la Blue Spiral Records al momento giusto, ma si dice che la fortuna aiuta gli audaci. La Blue Spiral Records ha da subito apprezzato il progetto, e questo per me è stato molto bello ed entusiasmante. Spero che il disco sia ben accolto e possa essere in qualche modo di ispirazione per chi lo ascolta.
Ci sono tra i tuoi lavori alcuni che ti rappresentano maggiormente?
Assolutamente il lavoro appena uscito “Alberi”.
Quanto c’è di personale nelle tue composizioni?
Probabilmente molto, ma mi piace anche pensare che in qualche modo nelle mie composizioni avvenga una trasformazione di esperienze collettive in suoni e musica.

Sei un artista che scrive molti pezzi oppure fanno fatica a nascere?
Ho avuto sempre un approccio intuitivo alla composizione. Negli ultimi anni mi sono sentito sempre assolutamente libero di potermi esprimere quando ne avevo bisogno e quando c’era l’ispirazione, e in questi momenti ho sempre avuto gratificazioni da quello che creavo. Non ho quindi mai forzato la scrittura: se manca l’ispirazione, faccio semplicemente altro.
Ci sono degli autori che hanno avuto o che hanno influenza sul tuo modo di scrivere?
È molto difficile per me definire degli autori in particolare. Ho sempre ascoltato e apprezzato molta musica di vario genere, da quella elettronica al rock, dal blues al jazz, dalla musica classica al pop. Ho avuto in generale sempre una propensione verso la musica sperimentale, ma sono allo stesso tempo affascinato anche dalla musica tradizionale dei popoli e dai loro strumenti. Negli ultimi anni mi sono poi interessato al field-recording di ambienti naturali e urbani, e penso che l’ascolto attento dei suoni che in ogni momento ci circondano sia in qualche modo influente nelle mie composizioni.
Oggigiorno forse più di ieri c’è una contaminazione tra generi. La musica, secondo te, si è aperta al mondo?
Sì, secondo me si è aperta, e deve continuare a farlo sempre di più, perché favorisce certamente il confronto, la condivisone, lo scambio, l’integrazione.
Come vedi l’utilizzo della tecnologia nella musica di oggi?
Io vedo sempre bene l’utilizzo della tecnologia nella musica. In fondo la musica nasce perché la tecnologia fornisce strumenti musicali, a meno che non si utilizzi solo la voce. Oggi, come in molti altri campi, la tecnologia ha un ruolo preponderante. Ci potrebbe quindi essere il rischio di farsi sopraffare da essa e, soprattutto quando si è coinvolti in processi creativi, questo può essere non sempre positivo, perché può limitare la spontaneità di quello che siamo e vogliamo esprimere. Per me, definire in modo chiaro e porre dei limiti alle tecnologie che posso usare è stato fondamentale per potermi dedicare e concentrare solo al processo creativo, ai suoni, alla loro forza sinergica e alla loro evoluzione ed espressività.
Spesso gli artisti vivono immersi nelle emozioni del presente. Il futuro ti spaventa? Che progetti hai in proposito?
Viviamo oggigiorno in un’epoca di crisi, e il futuro sembra veramente incerto. Mi sento comunque ottimista perché una crisi indica che alcune cose non vanno, e c’è una spinta naturale ad una trasformazione in meglio. Bisogna però anche volerla questa trasformazione. Per quanto mi riguarda, mi auguro di continuare a sperimentare, comporre musica e lavorare a nuovi progetti discografici, immaginando questa trasformazione.